Tra passato e futuro: la scuola orfana di una vera riforma

Tra passato e futuro: la scuola orfana di una vera riforma

-di GIULIA CLARIZIA-

Questa mattina presso la sede dell’Enciclopedia Treccani si è tenuta la presentazione del libro Andavamo a scuola con la 600, patrocinata dalla UIL scuola e dalla fondazione Pietro Nenni.

Una raccolta di saggi che con rigore storico ripercorre il periodo delle riforme degli anni ’60 e ’70 e in particolare si concentra sulla riforma della scuola media unica e obbligatoria.

Nell’arco della mattinata i relatori hanno declinato questi temi seguendo principalmente due fili rossi tra loro correlati: il confronto con l’attualità e l’importanza dell’attuazione della Carta Costituzionale.

Il Segretario Generale della UIL Scuola Pino Turi ha sottolineato infatti che le riforme positive e degne di essere chiamate tali sono proprio quelle che applicano la Costituzione. Lo stesso Nenni, come ricordato dal Responsabile della Scuola Sindacale Martinetti, Massimo Di Menna, aveva ben chiara l’importanza di questo principio. Infatti, nel suo discorso per la celebrazione dei settant’anni del Partito Socialista nel 1962, egli sottolineò l’importanza delle riforme recentemente portate avanti, come quella della scuola e della nazionalizzazione dell’energia elettrica, che davano per l’appunto attuazione alla Costituzione.

Parlando dell’attualità, la critica alle decisioni disastrose prese durante l’ultimo ventennio (le cosiddette riforme Gelmini hanno prodotto più danni della grandine, soprattutto nell’universiità) è ampiamente condivisa. Lo sottolinea lo stesso sottosegretario al ministero dell’Istruzione Vito De Filippo. Tuttavia il dibattito si accende sul presente, sulla Buona Scuola e sui recenti investimenti che se da un lato, come sottolinea De Filippo, sono stati un segnale di re-interesse rispetto all’educazione, dall’altro secondo i rappresentati della UIL sono stati portati avanti senza aprire un reale dialogo che avrebbe probabilmente permesso un migliore utilizzo delle risorse.

Il rapporto tra la scuola pubblica e la scuola privata resta un nodo cruciale. La studiosa Ludovica Durst ha raccontato come il dibattito a riguardo fosse problematico già nel 1946 in seno all’assemblea costituente e soprattutto tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. La legittimazione delle scuole private comportava, e comporta, una serie di contraddizioni rispetto alla quella che dovrebbe essere una garantita laicità della scuola in uno stato laico. Oggi questo rapporto problematico non si è esaurito. Il sostegno alla scuola privata da parte dei recenti ministeri dell’istruzione ha sollevato come è noto parecchie critiche.

Turi ha infatti posto l’accento su quanto negli ultimi anni sia stato grave l’aver considerato la scuola come un servizio da sottoporre alle leggi di mercato, e non come una funzione essenziale equiparabile alla giustizia e alla difesa dello stato.

Sembra essersi persa oggi l’idea dell’investimento sulla conoscenza come passione, come radice culturale. Riflette su questo il professor Giuseppe Limone, che legge la sfida della rivoluzione tecnologica come il rischio di cadere nella “buroinformatizzazione”, ovvero in una burocratizzazione informatizzata che non semplifica le istituzioni, e tra esse la scuola, ma le complica. Per questo è importante ricordare quell’idea di conoscenza che emerge da una lettura organica e non parcellizzata della Costituzione, ovvero una conoscenza ampia, solidale e creativamente attiva.

La mattinata si è conclusa con la riflessione sulle battaglie sindacali in nome dell’uguaglianza. Ponendo “le persone al centro del cambiamento”, Giorgio Benvenuto, presidente della Fondazione Nenni, ha raccontato di come il sindacato si sia battuto per inserire nei contratti dei lavoratori la possibilità di dedicare 150 ore allo studio.

Carmelo Barbagallo, Segretario Generale della UIL, dopo aver rievocato i successi ottenuti durante gli anni ’70, ha amaramente constatato che molto di quello che fu fatto sta andando perduto. Per questo è importante rivalorizzare il sindacato e il suo rapporto con i cittadini per ricominciare a lottare contro i problemi che affliggono la nostra società. Cesare Salvi a questo proposito rileva i tarli dell’immobilità sociale e della disoccupazione giovanile, in parte ancora causati da un sistema di educazione che ancora non pone tutti i giovani su eguali condizioni.